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Consiglio di Stato N. 03970/2024: Silenzio sull'istanza della revoca del DDA

Started by am, Friday - 10/May/2024 - 21:03

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am

1. Il signor <OMISSIS> ha appellato, chiedendone la riforma previa adozione di misura cautelare, la sentenza con la quale il T.A.R. della Basilicata ha respinto il ricorso da lui proposto, ai sensi dell'articolo 117 coc. proc. amm., per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dalla Prefettura di Potenza sull'istanza con cui egli aveva chiesto il riesame e la revoca del divieto di detenzione di armi adottato nei suoi confronti con provvedimento n. -OMISSIS-del 3 giugno 2019.

2. In punto di fatto, il ricorrente ha precisato:

a) che il predetto provvedimento aveva fatto seguito ad altro (n. -OMISSIS-del 27 marzo 2019) con il quale la Questura di Potenza, esaminando una sua istanza di rinnovo di permesso di porto d'armi, ne aveva invece disposto la revoca ai sensi dell'articolo 39 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, ritenendo l'istante sprovvisto dei requisiti di legge;

b) che una prima istanza di riesame del divieto, inoltrata al Prefetto in data 6 aprile 2021, era stata respinta con provvedimento espresso, nel quale l'interessato era stato invitato a presentare una nuova istanza trascorsi cinque anni dall'emanazione del divieto medesimo;

c) che, ritenendo arbitraria la fissazione di tale termine, egli aveva presentato in data 29 marzo 2022 una nuova istanza di revoca del divieto, rimasta priva di riscontro;

d) che, dopo che una terza istanza (datata 26 giugno 2023) era rimasta anch'essa inevasa, il ricorrente si era risolto a proporre ricorso giurisdizionale per far accertare l'illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione.

3. Nella sentenza qui impugnata, il T.A.R. adìto ha richiamato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che ritiene incoercibile il potere di autotutela in quanto tipica espressione di discrezionalità amministrativa, e pertanto giammai configurabile un obbligo di provvedere tutelabile con lo speciale rito di cui all'articolo 117 cod. proc. amm. a fronte del silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza di rimozione in autotutela di un precedente suo provvedimento; ha altresì soggiunto che, per far valere gli eventuali mutamenti del quadro fattuale verificatisi medio tempore, l'interessato avrebbe potuto (e dovuto) chiedere un nuovo provvedimento abilitativo, potendo gli eventuali fatti nuovi incidere sul rapporto ma non certo sull'atto, la cui legittimità va valutata con riguardo alla situazione di fatto e di diritto sussistente al momento della sua adozione.

4. L'appello è basato sui seguenti motivi:

I) errore in procedendo e judicando; violazione e falsa applicazione degli articoli 2 e 3 della legge 7 agosto 1990; violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 3 e 97 Cost.; eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, travisamento dei fatti, disparità di trattamento, illogicità manifesta e irragionevolezza.

Secondo l'appellante, in disparte la circostanza che era stata la stessa Prefettura, nel provvedimento di rigetto espresso assunto dopo la prima istanza di riesame, a invitarlo a presentare in seguito ulteriori istanze, l'indirizzo giurisprudenziale su cui il primo giudice ha fondato la propria decisione dovrebbe considerarsi oggi minoritario, potendo configurarsi l'obbligo della p.a. di pronunciarsi sull'istanza di riesame del privato, specie quando questa abbia a oggetto un provvedimento i cui effetti sono perpetui (come è il caso del divieto di detenzione di armi).

II) errore in procedendo e judicando; eccesso di potere per illogicità manifesta, irrazionalità, irragionevolezza, arbitrarietà, carenza assoluta di motivazione, difetto di attività istruttoria, travisamento dei fatti.

Erroneamente il primo giudice avrebbe invitato il ricorrente a presentare una nuova istanza di licenza di porto d'armi, essendo evidente che all'accoglimento di quest'ultima sarebbe in ogni caso di ostacolo il divieto emesso nei suoi confronti, la cui previa rimozione è pertanto necessaria per la concessione di nuovi provvedimenti abilitativi.

5. Le Amministrazioni appellate si sono costituite in resistenza con atto di stile, provvedendo poi a depositare documentazione.

6. Alla camera di consiglio del 23 aprile 2024, fissata per l'esame dell'istanza cautelare, il Collegio ha ritualmente avvisato le parti della possibilità di immediata definizione del giudizio, ai sensi dell'articolo 60 cod. proc. amm..

7. Ciò in quanto l'appello è fondato e pertanto meritevole di accoglimento.

8. In via generale, il tradizionale indirizzo secondo cui, in ragione dell'incoercibilità del potere di autotutela, non sussiste mai un obbligo di provvedere della p.a. tutelabile ex articolo 117 cod. proc. amm. a fronte dell'istanza con cui è chiesta la rimozione di un precedente provvedimento, è oggetto oggi di rimeditazione da parte di dottrina e giurisprudenza.

In particolare, si evidenzia l'immanenza del potere amministrativo nell'ambito del rapporto pubblicistico con il privato, tale da rendere doveroso per la p.a. dare riscontro alla prospettazione con cui quest'ultimo rappresenti vizi di legittimità del provvedimento, originari o sopravvenuti, o comunque la non conformità dello stesso a un quadro degli interessi (pubblici e privati) mutato nel corso del tempo rispetto a quello esistente al momento della sua adozione; tale conclusione è spesso agganciata al disposto del comma 1 dell'articolo 2 della legge n. 241/1990, come modificato dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, laddove ("Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo") il legislatore sembra aver avallato l'idea di un generale dovere di riscontro anche a fronte di istanze manifestamente inammissibili o infondate.

Con specifico riguardo alla revoca di cui all'articolo 21-quinquies della stessa legge, si è osservato come la configurabilità della stessa in termini di amministrazione attiva comporti che non possa escludersi il dovere della p.a. di attivarsi e intervenire su un proprio provvedimento, ancorché definitivo e inoppugnabile, quante volte il quadro fattuale e giuridico su cui lo stesso si fondava possa aver subito dei mutamenti tali da determinare una diversa valutazione dell'interesse pubblico: ciò che può essere anche sollecitato dal privato con apposita istanza di riesame, il cui riscontro costituirebbe dunque attività doverosa proprio ai fini di una gestione corretta del rapporto amministrativo, ai sensi dell'articolo 97 Cost.

Si palesa pertanto fuori fuoco il richiamo della sentenza impugnata alla distinzione tra atto e rapporto, in quanto la revoca, ancorché comportante rimozione di un precedente atto, è manifestazione del potere che scaturisce proprio dalle vicende del rapporto risolvendosi – in buona sostanza – nella decisione di interrompere pro futuro la produzione di effetti dell'atto medesimo.

9. Ai fini che qui interessano, tuttavia, non è necessario approfondire tali questioni teoriche (le quali, in definitiva, sono tutte riconducibili al nuovo paradigma che connoterebbe l'autotutela nei rapporti amministrativi dopo le riforme degli ultimi anni), in quanto anche l'orientamento tradizionale richiamato dal T.A.R. non esclude possano darsi eccezionalmente casi di autotutela doverosa, per espressa disposizione di legge ovvero per esigenze di equità e giustizia (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 aprile 2022, n. 2564; id., 9 gennaio 2020, n. 183).

10. Nel caso di specie, come condivisibilmente evidenziato dall'appellante, il provvedimento di divieto di detenzione di armi adottato nei suoi confronti è connotato dall'assenza di un termine di scadenza, e quindi da tendenziale perpetuità, sì da poter costituire ostacolo ad ogni futura istanza di rilascio di nuovi provvedimenti abilitativi.

Così stando le cose, si comprende il perché in fattispecie analoga la Sezione (sent. n. 500 del 18 gennaio 2021) abbia ritenuto che l'individuazione di un obbligo giuridico di riscontrare l'istanza con la quale l'interessato chieda la rimozione del divieto, rappresentando i pretesi fatti nuovi che ne avrebbero fatto venire meno i presupposti, s'imporrebbe sulla base di un'interpretazione "costituzionalmente orientata" del quadro normativo; semplicemente perché solo in tal modo può rendersi coerente col sistema la risalente previsione di una misura limitativa della sfera giuridica del privato senza limiti di tempo, essendo evidente che in una moderna visione dei rapporti amministrativi non può esistere un interesse pubblico al mantenimento in essere sine die di una siffatta misura, indipendentemente dalle sopravvenienze che potrebbero aver ridimensionato o eliminato il giudizio di pericolosità su cui la stessa si è a suo tempo fondata.

Naturalmente, tale approccio induce a ritenere sussistente l'obbligo dell'Amministrazione di pronunciarsi sull'istanza di riesame con provvedimento espresso, in particolare esaminando e valutando le circostanze di fatto sopravvenute su cui la stessa si fonda, ma a ciò deve aggiungersi che il riesame deve essere costituito da una verifica puntuale e attuale della permanenza delle condizioni per l'atto inibitorio o meno (restando fermo e impregiudicato, in particolare, il consolidato indirizzo della Sezione circa l'assenza nel nostro ordinamento di un diritto a detenere e portare armi e l'ampia discrezionalità che connota le valutazioni amministrative in subiecta materia).

11. In conclusione, in riforma della sentenza appellata, va affermato l'obbligo della Prefettura di Potenza di pronunciarsi sull'istanza di riesame inoltrata dall'appellante in data 23 giugno 2023, salvo restando quanto testé precisato circa la portata e la natura di tale riesame.

12. In considerazione della relativa novità delle questioni esaminate, nonché dell'assenza di nuove difese dell'Amministrazione nel presente grado, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

am

Breve commento:

Ottima sentenza del Consiglio di Stato che ribadisce come di fronte a una istanza proposta da un cittadino  volta a ottenere una revoca di un divieto di detenzione armi l'amministrazione non può rimanere silente per sempre.
Il provvedimento di divieto di detenzione armi è gerarchicamente ostativo al rilascio di autorizzazioni in merito alle armi e deve essere rimosso per poter chiedere nuovamente delle licenze, qualora una richiesta venga avanzata in merito ad un riesame l'amministrazione ha l'obbligo di rispondere e vagliare puntualmente e specificare se sussistono ancora i motivi ostativi per la rimozione del divieto.

Si configura oramai consolidato l'orientamento secondo il quale il divieto di detenzione armi pur essendo formalmente illimitato nel tempo (se non espressamente limitato dal prefetto) esso non può essere sine die a prescindere, in quanto si deve trovare un compromesso che coniughi l'interesse personale a detenere, usare o portare armi con la necessità di tutela del bene della sicurezza pubblica, ovviamente il compromesso sarà sempre più bilanciato verso la pubblica sicurezza in quanto l'interesse dell'individuo in fatto di armi non è rafforzato da alcuna posizione di diritto soggettivo (per l'ordinamento italiano).

Sentenza importante da ricordare per chi voglia fare fronte all'inerzia della pubblica amministrazione anche su temi così delicati.